Fascinazioni: Rete, comunicazione e tecnologie sociali

domenica, giugno 25, 2006

Comunicazione "open space"

Nel 1976 non ero ancora nato; in quell'anno la comunicazione esterna di argomento politico o sociale era totalmente dilettantesca.

Nel 1976 in Italia c'era la campagna elettorale, perché si sarebbe votato per le elezioni politiche.

In rete, tramite MUVI (sito che purtroppo non viene più aggiornato), ho scovato le due immagini di manifesti politici che sembrano anticipare, di una trentina d'anni, iniziative più attuali come The Bubble Project, oltretutto con un certo coraggio: infatti questo tipo di "apertura" ai commenti liberi - come si vede nelle foto - può essere utilizzata per sovvertire l'intento iniziale (la propaganda a favore di un partito) andando contro gli interessi del promotore...

lira mancato

mercoledì, giugno 14, 2006

Innovazione

Ho raccolto diversi pareri dopo l'EBA Forum di giovedì scorso...soprattutto tramite operatori del settore (meno dalle aziende / potenziali clienti); la percezione più significativa, che condivido, è che si sia parlato davvero poco di innovazione, presentando invece (sia negli "stand" che durante le relazioni pomeridiane) tecnologie già consolidate nel loro uso più scontato. Apparentemente quindi c'è stato poco spazio per l'immaginazione e lo sguardo al futuro, ai quali è stato preferita un'ottica di breve termine, sicuramente più concreta, ma poco incisiva quando si è trattato di parlare di forme alternative di comunicazione. Male a mio parere, perché l'aspettativa che avevo di questo evento era proprio quella di un evento/laboratorio dove condividere e immaginare.

Ciò che è stato presentato durante l'evento ha, a mio parere, ben poco di alternativo e in realtà, al di là dell'aspetto tecnologico, vive all'ombra dell'advertising tradizionale, rinnovandolo solo a livello superficiale. Tutto il discorso del mobile marketing come è vissuto da queste parti mi sembra l'esempio più evidente di questa tendenza: tutto ciò che viene fatto a livello di mobile replica il modello pubblicitario (forse perché si pensa sia più comprensibile all'investitore?), senza presentare elementi innovativi in quello che io chiamo "l'altro 50% del marketing", cioè il messaggio di comunicazione. C'è crisi creativa dalle nostre parti; le aziende e, cosa più grave, le agenzie, non sono in grado di trasferire il piano strategico di marketing in un messaggio comunicazionale coerente: questo perciò risulta scollegato rispetto agli obiettivi strategici di comunicazione.

E' inutile quindi ragionare in un'ottica "touch points", ovvero pianificare il budget pubblicitario in funzione del contesto nel quale le persone si trovano - contesto al quale è legata la fruizione di uno o più media - cercando i punti di contatto migliori in ogni contesto (cosa che a quanto vedo ancora nessuno fa pienamente), se poi il messaggio non è coerente e contestualizzato, oppure se la tecnologia utilizzata anziché migliorare l'efficacia del messaggio invade il dispositivo (ancora una volta penso al cellulare e a quanti sms pubblicitari ormai ricevo al giorno) rendendolo a tratti fastidioso per l'utente.

mercoledì, giugno 07, 2006

Sosteniamo i creativi...

Oggi ho voglia di dire una cosa semplice semplice: sosteniamo i creativi.
Anche nel mondo online, anzi soprattutto, sosteniamone la professionalità anziché ridurli a meri grafici addetti al tutto e al di più (siti web, banner, copy, quant'altro).

Facciamo in modo che i creativi rispondano a creativi, ovvero introduciamo anche nelle web agency (o agenzie di comunicazione interattiva nate sulle ceneri delle web agency) il sistema della coppia creativa (classico nelle agenzie tradizionali, che in verità almeno nel caso di un'agenzia specializzata in online media so essere già applicato): art director e copy writer che lavorano in coppia sui progetti e che rispondono ad un direttore creativo, non ad account, tecnici o planner. In poche parole, sono per l'autogoverno dei creativi.

Esigiamo che i creativi implicati in comunicazione interattiva capiscano anche la tecnologia, ovvero abbiano un background di base che permetta loro di sfruttare la tecnologia ai fini della creatività, soprattutto quando la tecnologia dispiega nuove possibilità, non praticabili offline...dove la tecnologia poco c'entra.

Semplice...no?
Una postilla: perché tutto ciò?
Perché vedo ogni giorno persone che dall'alto (dai manager/venditori) vengono vendute come creative complete (con tanto di vanto, obviously), mentre all'atto pratico e sempre dall'alto sono ridotte a grafiche esecutrici. Una nuova organizzazione più autonoma può
senz'altro aiutare ad avere creatività migliori e quindi campagne più efficaci, perché il cliente costituisce già, abbastanza spesso, uno scoglio all'innovazione (anche nella creatività), ma se i primi ostacoli vengono dall'interno dell'agenzia...

giovedì, giugno 01, 2006

Settimana corta...

Questa è una settimana corta, lavorativamente parlando...e per fortuna, viste le "grandi fatiche" che sono toccate a me e ai miei colleghi lo scorso week-end...dove praticamente non s'è dormito ;-).

La prossima sarà invece una settimana densa, soprattutto sotto il profilo degli eventi. Segnalo in particolare l'EBA forum (dove EBA sta per Everything But Advertising); l'evento si terrà il prossimo 8 giugno (giovedì) ed è organizzato da Wireless; l'intento è ovviamente quello di parlare delle forme di comunicazione che non rientrano nelle classiche forme tabellari, quelle che noi media planner acquistiamo un tot. ad esposizione (impression) o a click.

Insomma...una causa a cui personalmente sono molto interessato, dal momento che spero di costruire un futuro in cui tutti i formati pubblicitari fortemente sconnessi dal contesto di fruizione risultino fortemente ridimensionati, in favore di campagne maggiormente legate sia all'esperienza individuale del fruitore sia al momento ed al media che egli sta utilizzando. Perciò centrale in questo senso è tutto il discorso legato al mobile in senso ampio, quindi dai cellulari a tutti i device (tv inclusa) che stanno trasformandosi in stabilmente nomadi, perdendo perciò i loro confini originari, sia in termini di ibridazione dei mezzi (il web su telefonino, la radio su web - vedi podcast, ecc...) sia in termini di caduta del vincolo di fruizione ad un ambiente strettamente confinato (cade massicciamente ad esempio il vincolo all'ambiente casalingo per la fruizione della tv, così come la navigazione Internet dal pc, che sia a casa o dall'ufficio).


Nel pomeriggio ci saranno sessioni parallele dedicate a Web Marketing, Mobile Marketing, Public Relations e Network. Quest'ultima in particolare è la meno intellegibile, ma avrà come relatori tra gli altri
Luca de Biase e Paolo Valdemarin, per cui si preannuncia interessante (e scommetto che i temi riguarderanno la dimensione social del web, ovvero la sua declinazione 2.0...e con De Biase che mi auguro porti la sua esperienza sul rapporto tra editoria e web).
La registrazione è gratuita è si può effettuare qui.

Mi sembra corretto evidenziare che l'agenzia dove lavoro è main sponsor dell'evento; detto ciò, se qualcuno ha la curiosità di venire a conoscerci...troverà qualcosa di interessante da provare (a patto di avere un cellulare bluetooth).

martedì, maggio 30, 2006

Partecipazione 2

Nel precedente capitolo in sostanza mi chiedevo, dopo aver rilevato le qualità "superiori" che rendono Internet un mezzo altamente partecipativo, come mai l'ambiente lavorativo dove si "fa l'Internet" - in particolare nel nostro paese - non ha un'organizzazione che rispecchia questa caratteristica, di partecipazione/cooperazione vista in contrapposizione alla predeterminazione delle decisioni che calano dall'alto.

Il sospetto è che dalle nostre parti l'imprenditore, anche quando opera in un settore innovativo, vive l'esigenza edonistica di accentrare su di sé l'onore della spinta innovativa che la sua azienda crea, anziché condividerla con chi lavora quotidianamente allo sviluppo di questa attività.

Da ciò discende un'organizzazione piuttosto ingessata intorno a una/due figure al massimo, dove la partecipazione/cooperazione se da un lato è richiesta (la famosa "proattività") dall'altro è limitata a momenti predeterminati dall'alto; in altre parole, è difficile che io riesca a proporre un'innovazione che vorrei vedere introdotta, o quantomeno valutata, partendo da zero...senza input dall'alto; è più probabile che il mio contributo sia accettato solo in seguito ad un input dall'alto che mi invita a contribuire però all'interno di un frame già definito, con linee guida e direzione dell'innovazione/obiettivi non più discutibili (anche se magari ce ne sarebbe da discutere...).

A mio parere è tutto sommato fattibile, qui ed ora, il superamento dell'apparente immutabilità del modello chiuso, dove le regole del gioco (cioè...del lavoro) sono prestabilite e tali rimangono, dove non è il più bravo che emerge ma è colui che riesce a sfruttare meglio a proprio favore le regole stabilite dai "capi" e in particolare le loro debolezze.Si può fare, anzitutto riunendo quelle persone che sono grossomodo d'accordo con il modello di un'agenzie/impresa costruita come una cooperativa, e riconoscendo come 1° comandamento il seguente:

  • Tutti devono avere l'opportunità di sviluppare e proporre una propria idea originale o una innovazione, momento che culmina con il diritto di presentarla e condividerla con i compagni di lavoro, aprendola alla discussione e all'affinamento.
Ciò è sostanzialmente diverso (contrario) al sistema che va per la maggiore, ovvero: qualcuno ha una buona idea, questo quacuno l'abbozza un pochino e poi va dal capo a parlarne, sperando che egli la trovi buona e utile; così è tutto in mano ad un superiore, non c'è contributo collettivo alla crescita dell'idea (che pertanto rimane "depotenziata") e perciò, come sistema di gestione dell'innovazione, risulta estremamente inefficace.

mercoledì, maggio 24, 2006

Away...



Starò via per qualche giorno; da domani sera infatti sarò qui per partecipare all'annuale Msn Agency Retreat, week-end di svago-lavoro presso un agriturismo umbro (più svago che...naturalmente).

Se ne vedranno delle belle ;-)

lunedì, maggio 22, 2006

Partecipazione

Internet è un media partecipativo? Sicuramente...ma forse non più di altri. Forse ciò che cambia rispetto ad altri ambiti non è la quantità di partecipazione possibile - ci sono spazi più vicini alla realtà materiale che sono altrettanto partecipativi (dal punto di vista "quantitativo", ovvero della compresenza tra chi fa i media e chi li fruisce), basti pensare alle macchinate di chi la domenica sera va negli studi di Controcampo come pubblico oppure alle vagonate di pulman di gente che fa chilometri per passare un pomeriggio a Buona Domenica;

Ciò che cambia online è la qualità della partecipazione;
con Internet si va oltre la compresenza e forme partecipative di basso profilo, che non incidono sul prodotto di partenza; la partecipazione in questo spazio ha qualcosa in più: la produttività. Tutto si può produrre - anziché subire il prodotto di altri - in questo spazio, anche se non necessariamente poi lo si fa (e questo è l'unico vero gap online, tra chi fruisce e chi partecipa, questi ultimi però in crescita). Non è vero che Internet non ha leggi, oppure che ha altre leggi, o nuove leggi, rispetto alla realtà materiale. Nello spazio virtuale le leggi sono nomadi e servono all'autodeterminazione degli individui. Semplificando ma anche banalizzando un pò il concetto, ognuno si fa le sue leggi...ma non per vezzo o per piacere, bensì per autodeterminarsi e riconoscersi in regole fatte a propria misura. Internet non annulla ne sovrascrive alcuna legge, semplicemente le accoglie tutte, ne permette di nuove, permette nuovi spazi e non esclude alcunché o chicchessia.

La produttività, che definirei "sociale", dell'Internet può nascere solo dalla partecipazione diffusa; penso che questo sia uno dei nodi per lo sviluppo futuro...nell'eventualità in cui questo "stile" riesca ad uscire dall'ambito delle tecnologie che ne incentivano la pratica (tutte tecnologie "nate online") andando a contaminare, come è capitato al sottoscritto, i comportamenti sociali ed i processi cognitivi e decisionali. A questo proposito mi sembra che l'antitesi della partecipazione, ovvero il modello vertical/verticistico non è il più efficiente, soprattutto laddove è la creatività ad essere l'oggetto della produzione (mi riferisco in particolare all'organizzazione lavorativa negli ambiti creativi - pubblicità, design, moda).
Il lavoro in Rete oltretutto spinge naturalmente verso forme di decisione cooperativa, dove l'esistenza di manager, quadri, amministratori unici che si autonominano presidenti e altri autocrati di vario genere non solo non hanno motivo di essere ma anzi sono di ostacolo allo sviluppo, alla crescita dei gruppi di lavoro, della qualità espressa e delle competenze dei componenti del gruppo stesso.


Come talvolta ripeto, a me stesso e agli altri, ho avuto la fortuna di incontrare la Rete abbastanza presto nella vita assumendone di conseguenza la logica condivisa - per quanto riguarda la diffusione di conoscenza - e la logica collettiva - per quanto riguarda la produzione di linee di sviluppo - in maniera molto intima, quasi fin dentro il DNA, quasi come automatismo (ma mai automatismo stupido, ovvero di riflesso senza pensiero); per questo vorrei tutto o quasi abbastanza diverso da com'è, mi trovo a criticare abbastanza spesso e soprattutto a voler migliorare - a piccoli passi e con moderazione, ma inarrestabile - tutto quanto mi passa sotto il naso, dal caso di una richiesta insensata da parte di un cliente (secondo alcuni bisogna eseguire, se non altro per quieto vivere, mentre per me è difficile resistere alla tentazione di guidare il cliente su quelle che sono le domande corrette che deve porsi) al caso frequente in cui un "vertice" condivide con la "base" una decisione, non con l'intento di discuterne bensì di vantare una scelta secondo lui - e solo lui - particolarmente illuminata.


Ritornando al tema della partecipazione, e del suo significato nel mondo del lavoro cognitivo e creativo, trovo che la miglior forma di organizzazione - in particolare nell'ambito delle agenzie di comunicazione, centrali media, concessionarie e realtà connesse, sia quella cooperativa, dove le gerarchie non si danno nomi, etichette e gradi, che non servono e anzi ostacolano...territorializzano la capacità di pensare, dove la persona (il "lavoratore") si determina non per la posizione scritta sul cartellino bensì per il suo contributo, la sua capacità di creare partecipazione di qualità (non solo fare il compitino per quieto vivere o per esigenze organizzative imprescindibili e calate dall'alto) e la sua capacità di invenzione...che parte prima di tutto da se stesso e dalla produzione di possibilità.

domenica, maggio 21, 2006

Convergenza tra stampa e blog

Secondo alcuni i giornali (in particolare i quotidiani) in futuro risentiranno della “concorrenza” creata dai blog di stampo giornalistico, sia per la tempestività che alcuni blogger dimostrano nella diffusione di notizie dell’ultimo minuto, sia perché i blog offrono punti di vista e opinioni di buon livello sui fatti di cronaca (in particolare credo che si tratta della maggior vicinanza che un blogger ha nei confronti di chi legge...in fondo siamo tutti persone che hanno iniziato navigando). C’è però uno scenario – quello più probabile – nel quale i nuovi media e la carta stampata convivono e si alimentano a vicenda. Già ben noto in Italia è il caso di Nova24, supplemento tecnologico de Il Sole 24 Ore che si fa contaminare spesso dalla Rete, servendosi anche di giornalisti-blogger. L’ultima novità nell’ambito della convivenza/convergenza di stampa e blog, recensita da Techcrunch, è rappresentata da BlogBurst, un servizio di content sindycation che “vende” alle grandi testate giornalistiche contenuti prelevati da blog autorevoli.
Se da un lato si ottiene l'effetto benefico di contaminare la carta stampata con fonti di informazione più fresche e meno influenzate da logiche di potere e di redazione, dall'altro è singolare che non ci sia una forma di revenue sharing con gli autori dei blog, i quali aderendo a Blogburst ricevono come beneficio unicamente la visibilità al proprio nome ed al proprio blog.

venerdì, maggio 19, 2006

Mediascrape, video news online

Non credo che Mediascrape abbia avuto molta pubblicità in Italia, soprattutto se paragonato ai più citati servizi di video online come YouTube o, ultimo arrivato, Brightcove.
Se YouTube, una volta decurtato dai video fuffa caricati dagli utenti, è potentissimo per sondare al volo quali video hanno avuto sulla rete il miglior riscontro virale (tutti i video - ben riusciti - con un intento di viral marketing alla base, legati o meno ad un prodotto, finiscono puntualmente su questo sito), e se Brightcove è candidato a diventare un interessante punto di riferimento per l'incontro tra chi vuole creare una Internet TV con risorse limitate e autori di contenuti video che invece desiderano vendere i propri prodotti, Mediascrape è invece più interessante come indicizzatore di news accompagnate dai rispettivi video lanciati dalle grandi agenzie stampa...ma non solo. Ogni utente può infatti caricare i propri video, dando così spazio al grassroot journalism.

Update: sempre in tema, scopro tramite Pandemia scopro che anche Libero ha lanciato un motore di ricerca per video a cui si aggiunge la possibilità di caricare/segnalare i propri video preferiti. Vedi qui.

martedì, maggio 16, 2006

Le donne online...

Avviso: ciò che state per leggere è frutto di una percezione, non di una ricerca con pretese di rappresentatività.

Le donne online sembra che soffrano - quantomeno in Italia - di un atteggiamento più passivo e meno coinvolto rispetto all'Internet.
Lo noto anche nel mio lavoro: le campagne online rivolte al target maschile, soprattutto quelle che prevedono un concorso, la registrazione, la partecipazione ad un gioco o la fornitura di un contributo, vanno sempre molto bene, mentre la stessa tipologia di campagna destinata al mondo femminile va sistematicamente a rilento, fa fatica ad ottenere click e registrazioni/partecipazione a community.


A questo punto le ipotesi sono due:

  1. Le donne italiane, anche online, sono meno emancipate rispetto alla media ad esempio dei paesi nord europei...anche quando si tratta di Internet (ma pure la Spagna, paese mediterraneo, mi sembra stia progredendo in quanto ad emancipazione culturale. a differenza nostra...aggiungo); questa non è una colpa ma un triste retaggio culturale, che vede la donna mediamente posizionata ai margini (più o meno contenta di questo "status");

  2. Le donne italiane online sono invece culturalmente evolute rispetto a quelle che non navigano ma gli inserzionisti e le aziende non se ne sono accorti, per cui essi continuano a proporre le solite stronzate a base di oroscopi, giochi stupidi e "test della personalità insignificante" che hanno fatto storia sulla carta stampata; a causa di questo differenziale tra domanda latente e offerta presente, la partecipazione alle iniziative (leggi campagne) delle donne online è inferiore alle aspettative.

Qual'è la visione corretta?
Una via di mezzo...sicuramente ;-), nel senso che c'è del vero in entrambi i punti. Se di mancanza di emancipazione si tratta, ciò è sicuramente dovuto anche ai media e alla posizione che l'editoria, i media, la pubblicità, assegnano al genere femminile.
La mia teoria è che se l'inserzionista pubblicitario, online ma anche offline, produce continuamente una realtà dove la donna è sostanzialmente una deficiente e una superficiale, questa finirà anzitutto per crederci un pò, e qualcuna magari anche a crogiolarsi in questo vuoto pneumatico, ma poi la maggior parte procederà anche con l'alienazione nei confronti della comunicazione e con una scarsa reattività nei confronti del messaggio, evidentemente giudicato poco stimolante...a ragion veduta.

In sintesi, diamo alle "nostre" donne qualche spazio online realmente partecipativo, comunicativo, dove possano pensare e rispondere a stimoli culturali (per quanto possa essere culturale una comunicazione di prodotto, ma è comunque uno spazio dove si può "giocare") e scopriremo secondo me tassi di risposta inaspettatamente alti. Mi stupisce che ciò non accada già, considerando l'alta percentuale femminile nelle professionalità del marketing e della comunicazione.

sabato, maggio 13, 2006

Responsabilità oggettiva

Questo post c'entrerà davvero poco con il titolo del blog, ma tant'è...vivo in un sistema, vedo delle cose, molte cose, e talvolta ne voglio anche parlare.

Ad ogni modo, il tema non è del tutto nuovo; qua e là mi è già capitato di accennare ad una certa visione dell'impresa e soprattutto del fare buona impresa: una visione che, secondo me, dovrebbe essere improntata oltre che al fondamentale rispetto delle leggi, anche sulla missione di creazione di valore/ricchezza per il sistema sociale (non solo in termini economici ma anche in termini di migliori prodotti, migliori servizi e quindi di "tempo liberato" per le persone...tempo di vita). Mi sembra che in Italia (e probabilmente non solo) funzioni all'esatto contrario: una fetta significativa della classe imprenditoriale sottrae valore e ricchezza dalla società per trasferirlo a sé: interesse particolare che danneggia l'interesse generale e impoverisce tutti.

Mi sembra oltretutto che, non appena qualcuno ha l'occasione di indagare su un impresa o un settore economico particolare, questa visione corrotta del fare impresa emerge puntualmente: nel momento in cui si è indagato sulle fusioni bancarie l'estate scorsa (la storia degli immobiliaristi, i cosiddetti furbetti del quartierino) è emerso uno scenario distorto. Oggi che si indaga sul mondo del calcio la storia è ancora così. L'altro ieri si è indagato su Parmalat ed era sempre così. C'è probabilmente da supporre che si tratti di un metodo di agire ben radicato.

Vorrei quindi sottolineare quello che secondo me è l'unico approccio possibile per risolvere la questione una volta per tutte. Concettualmente è molto semplice: basta partire dal fatto che per chi dirige questi settori economici e queste imprese si può parlare di responsabilità oggettiva derivante da "omissione di controllo"; un dirigente di un'impresa o un'azionista di riferimento non possono non sapere che un collaboratore sta corrompendo un giudice per far ottenere all'azienda una sentenza favorevole (non faccio nomi ne metto link, dovrebbe essere chiaro a chi mi riferisco...e non è a Moggi). I casi sono due: lo sanno benissimo e sono quindi complici, oppure non lo sanno e sono quindi colpevoli di non aver vigilato a dovere. Responsabilità diverse, ma comunque pesanti, perché non è accettabile ne l'essere complici di illeciti (ovviamente), ne guardare solo ai risultati senza indagare i metodi con i quali questi vengono ottenuti dai propri collaboratori. Questo è secondo me l'unico sistema che può portare a fare pulizia, cioè alla neutralizzazione nel mondo economico e nella società civile di tutte le forze che utilizzano sistematicamente la corruzione come metodo di governo (dell'impresa).

mercoledì, maggio 10, 2006

Include

Volevo segnalare, per chi ancora non lo conoscesse, il progetto Include, iniziativa del gruppo creatore di Antidigitaldivide.org che si propone di informare le amministrazioni dei piccoli comuni non coperti da adsl/banda larga sulle possibilità di utilizzare la tecnologia wi-fi per sopperire a questa mancanza; il progetto, che da breve tempo si è organizzato in forma di cooperativa, ha anche l'obiettivo di far incontrare domanda (i comuni/i sindaci) e offerta (gli installatori di reti wi-fi pubbliche), supportando le amministrazioni anche nelle fase di gestione e implementazione del progetto.

Se è vero che in Italia gli utenti broadband sono appena 7 milioni, che 10 milioni di italiani non possono - neanche volendo - utilizzare l'adsl in quanto sprovvisti di copertura, e che il passaggio alla banda larga rappresenta un vero e proprio salto di qualità nella user experience (le ricerche sottolineano che l'utente broadband fa un utilizzo molto più completo e permanente della Rete, ampliando le sue possibilità e amplificando la sua cultura ed il profilo psico-sociale), allora si capisce quando il semplice ampliamento della banda disponibile in navigazione su Internet sia un fatto importante per lo sviluppo del paese.

domenica, maggio 07, 2006

Libero e la ricerca nei blog.

Anche Libero ha, da pochi giorni, il suo motore di ricerca per blog (powered by Arianna); partito senza grossa pubblicità, l'ho scoperto per puro caso navigando il portale (salvo poi scoprire che vi aveva fatto cenno dotcoma).

Il prodotto si presenta interessante, con una sua impostazione che lo mette a metà strada tra un motore di ricerca puro e un aggregatore di blog (un metablog) come lo è (in parte) Technorati.
La prima pagina del motore presenta infatti in evidenza i tag più popolari - forse fin troppo invadenti nel layout complessivo (stile tagcloud, quindi con la dimensione dei font scalata in funzione della popolarità dei tag) e a seguire l'elenco degli ultimi post sui blog più popolari (presumo in base al numero di click che ricevono) ed i post dei blog più frequentemente aggiornati; la colonna a sinistra presenta invece cinque macrocategorie (oltre a "Prima pagina") che permettono di visualizzare blog appartenenti solo ad un determinato argomento.
Sempre nella colonna a sinistra è presente un bottone per segnalare il proprio blog e il link a Blog Alert, sistema che permette di ricevere in un feed RSS (inseribile quindi nel proprio news reader) i risultati di ricerche personalizzate.

Naturalmente non manca la maschera di ricerca per parole chiave, tipica dei motori di ricerca.

L'aspetto più interessante, a mio parere, è la presentazione dei risultati delle query: il crawler di Arianna è infatti in grado di catturare (e presentare quindi nei risultati) non solo il titolo e le prime righe dei post ma anche eventuali immagini inserite nei post stessi, che vengono presentate in miniatura; ciò sembra banale, ma migliora di molto la presentazione, dal punto di vista estetico, dei risultati.
Forse questo motore di ricerca non introduce innovazioni stravolgenti, ma mi sembra decisamente utile/usabile e meglio anche di alcuni concorrenti che hanno preso un bel pò di soldini di "capitale di ventura".

mercoledì, maggio 03, 2006

E-ink vs. device mobili

Nel futuro dei dispositivi digitali vedo ancora la dimensione degli schermi come un problema, ma non nel senso che sono troppo piccoli quelli attualmente disponibili...al contrario, penso che non ci sia molto spazio per strumenti (come i lettori di e-book realizzati con tecnologia e-ink) non esattamente "tascabili".

Questi device sicuramente si presterebbero a diverse applicazioni nonché a modelli di business interessanti per la vendita di "quotidiani" tramite hotspot wi-fi o bluetooth (connessioni delle quali i lettori saranno dotati), ma rimane il problema della portabilità. Schermi sufficientemente grandi da rendere piacevole la lettura rendono il dispositivo di sicuro "non tascabile" e decisamente più delicato di un giornale o un libro (che si può infilare in borsa anche senza cura).


Per questo motivo credo che la vera evoluzione dei dispositivi mobili la vedremo nel campo delivideo, delle immagini, e della "musica + immagini"; in questo caso il video non è un problema (ci sono schermi già sufficienti oggi, e la cosa può solo migliorare con il tempo) e anche in questo caso esisteranno interessanti modelli di business (esistono già, vedi Itunes) per la vendita di contenuti video e audio per il mobile.

Detto questo, non mi sento in grado di prevedere boom o successi particolari, mi limito ad affermare quello che credo di intravedere nei segnali di mercato già oggi presenti; tuttavia un dubbio mi rimane e riguarda la tecnologia trasmissiva. Il DVB-H (standard analogo al digitale terrestre "casalingo" nella sua declinazione per terminali mobili), ovvero lo standard apparentemente scelto oggi per la diffusione mobile di video, è secondo me "vecchio" in partenza (come lo è la tv digitale terrestre d'altronde) perché non contempla la possibilità di fruire di servizi on-demand. Insomma, il DVB-H è broadcast puro su terminale mobile, per cui l'utente non puoi scegliere cosa vedere nel momento che gli è più comodo ma deve adeguarsi ai palinsesti creati dall'editore. Il modello che io ho in mente, e che spero di vedere affermato, è più vicino a quello dei podcast (e vidcast), ovvero servizi di abbonamento via feed rss che permettono all'utente di avere sempre aggiornati sul proprio device mobile (telefonino o altro) i contenuti video che gli interessano.

domenica, aprile 30, 2006

Discorsi politici

Una riflessione postuma su quelli che sono stati i "duelli" televisivi tra i candidati alle scorse elezioni politiche. I due dibattiti (che in fondo dibattiti non erano) sono stati decisamente poco interessanti...e ciò a causa delle domande abbastanza scarse poste dai due giornalisti/intervistatori. I giornalisti mediamente non sono mai stati in grado di "interrogare" gli uomini politici su questioni rilevanti, e i duelli ne hanno fornito conferma.

A mio parere non dev'essere consentito agli uomini politici di non rispondere alle domande, di essere evasivi e di non dibattere con chi li intervista; l'intervistatore ha il dovere di richiamare l'intervistato, anche pesantemente, perché chi intervista rappresenta (o almeno dovrebbe farlo) la voce del popolo/curioso/interessato a farsi un'idea, e una persona mediamente intelligente in genere non si accontenta della prima risposta che gli viene data, soprattutto se fumosa o addirittura fuori tema (ad esempio Berlusconi non ha quasi mai risposto alle domande poste) come quelle che tutti hanno visto durante i "duelli".

Venendo al punto, dopo aver rilevato che i giornalisti non sono più in grado (sempre mediamente) di rappresentare gli interessi e le curiosità dei loro lettori/elettori, propongo (banalmente) che gli intervistatori dei prossimi dibattiti politici vengano presi da ambiti a contatto diretto con le tematiche che potrebbero (e dovrebbero) essere oggetto di domanda, quindi: ricercatori scientifici, insegnanti, medici, commercialisti, operai, studenti, ecc...andando a pescare in particolare da quei bacini di persone più attente alla valenza dell'informazione, politica e non, e delle tecniche manipolatorie del consenso e della comunicazione in generale (e in questo senso chi naviga in internet, detiene un blog, in genere fa parte di questo gruppo).